Pietro Antonio Manca (Sorso 1892–Sassari 1975). Un uomo dall’esistenza appartata, un po’ solitario, e insieme un pittore coraggioso, straordinariamente moderno per il tempo e l’ambiente in cui viveva (la Sassari del primo Novecento), ma anche un teorico dell’arte, fautore di una pittura immaginativa, seguace dell’antroposofia steineriana. Frequenta ma non termina gli studi al Liceo Classico, che decide di abbandonare per partire volontario in Libia. Una volta rientrato in Italia si dedica allo studio della pittura, si accosta e approfondisce il mondo classico, avvicinandosi all’antroposofia di Arturo Onofri, sul suo simbolismo steineriano. La prima formazione artistica di Manca si forma sotto la guida di Mario Paglietti e Giuseppe Biasi, grandi artisti dell’inizio secolo isolano, ma allo stesso tempo anche dallo studio dei grandi maestri del passato. Già dalla fine degli anni venti lo troviamo protagonista di esposizioni collettive, come per esempio, la sua partecipazione nel 1928 alla I Biennale di Arte Sarda di Sassari. Negli anni 40′ fu richiamato sotto le armi e designato al distretto militare di Nuoro. Questa permanenza lo mette in contatto con gli artisti nuoresi del tempo, e la produzione di questo periodo è caratterizzata in particolar modo da scene di folklore e da temi religiosi come le processioni. In questi anni partecipa attivamente a varie mostre sia collettive che personali. Al 1955 è da ascrivere il suo saggio Concezione immaginativa della pittura italiana in Sardegna. Manca si definisce pittore immaginativo; il suo concetto artistico si basa sull’intuizione di ogni artista che ha personalmente gli strumenti che gli permettono di fare un’indagine nel mistero. Questa concezione lo porta gradualmente a una scomposizione coloristica e figurativa, nel quale la rappresentazione informe esprime una sorta di misticità. I periodi della sua produzione si possono dividere in quello giovanile, caratterizzati da dipinti realistici e di argomento sardo; in quello della pittura immaginativa, periodo centrale ed il più significativo dell’intera produzione e in quello della pittura immaginativa senile, con dipinti che presentano una diminuzione della forza cromatica e l’accentuazione dei toni grigi e attenuati.
Nelle opere conservate al Museo di Atzara ritroviamo una rappresentazione costruita secondo l’uso di pochi elementi, come il personaggio rappresentato con il cane e il nuraghe di sfondo, o la semplicità della figura che mesce il vino, tipica immagine ripresa dalla vita paesana. L’autoritratto sarà una costante nella produzione artistica del pittore, ed in particolare nell’opera conservata al Museo ritroviamo una sorta di indagine psicologica fatta attraverso il sapiente uso della tavolozza.
Mostre personali
1930, Roma, II Mostra del Sindacato Laziale Fascista di Belle Arti del Lazio
1931 Roma, I edizione della Mostra quadriennale d’Arte Nazionale
1934 Venezia XIX edizione della Esposizione Internazionale Biennale d’Arte
1935 Roma, II edizione della Mostra quadriennale d’Arte Nazionale
1936 Venezia XX edizione della Esposizione Internazionale Biennale d’Arte
1939 Roma, III edizione della Mostra quadriennale d’Arte nazionale
1942 Roma, X Mostra del Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti del Lazio
1951 Roma, VI edizione della Mostra quadriennale d’Arte nazionale
1955 Roma, VII edizione della Mostra quadriennale d’Arte nazionale
1958, Firenze, Salone dell’Accademia delle Belle Arti