Silvano Caria (Samassi, 1948), studia al Liceo artistico Foiso Fois di Cagliari e intorno agli anni settanta si trasferisce a Pavia, intrattenendo rapporti artistici con il mondo dell’arte contemporanea pavese, partecipando con successo a manifestazioni artistiche che influenzeranno nettamente il suo percorso artistico. Dedito alle arti figurative da anni, si è imposto nel panorama dell’arte concettuale grazie ad un particolare utilizzo della tecnica mista, connubio ideale tra tecnica pittorica e l’utilizzo sapiente di materiali naturali. Anche a livello stilistico, Silvano Caria sembra unire in questa avvincente immagine, due mondi apparentemente lontani, come quello della pittura figurativa e quello dell’astrattismo, in un connubio che rende ottimamente l’idea del contrasto tra ogni persona e la città, come se ogni persona componente la folla, fosse inesistente, quasi trasparente. I “luoghi” che Caria propone nei suoi lavori, non sono esclusivamente geografici, ma piuttosto circostanze di cui l’autore si è sentito parte e che prescindono dal posto in cui si trovava in quel preciso momento. Relative piuttosto, alle sensazioni bloccate in quell’attimo della propria esistenza.
Le sue continue ricerche materiche, conducono ad’una memoria antica e trascorsi arcaici e poetici. I frammenti, i graffiti, le radici, i segni di terra, sono alcuni dei tratti caratteristici della produzione artistica dell’artista. Ciò che distingue Caria da altri artisti, che utilizzano altrettanta matericità, consiste nel fatto che queste opere traggono origine da episodi, aneddoti o memorie che gli necessita fissare sulla tela. Sarà poi la sensibilità dell’artista a trasformare un materiale apparentemente insignificante, come potrebbero essere il fango, la paglia o una piccola radice, in un lavoro che dà forma alle sue sensazioni. Così nascono i “Luoghi di appartenenza” che non rappresentano soltanto o necessariamente la sua provenienza, le sue origini, la sua terra, che pure occupa un importante primato in quanto fonte di molti aspetti della sua ispirazione. Anzi per Caria questi luoghi, non sono dimensioni esclusivamente geografiche, ma circostanze nelle quali l’autore si è sentito “a casa” e che prescindono dal posto in cui ci si trova: a volte sono memorie alle quali ha sentito di appartenere, come molto eloquentemente spiega il filo spinato tra i mattoni, ricordo bruciante della sua visita in Polonia. Partecipa e vince numerosi premi di pittura in cui lo premiano giurati del calibro di Gavino Sanna, Antonio Corriga, Lombardini e Tonino Ruiu. Due le motivazioni salienti “assume in termine graficamente originale alcuni tratti della tradizione sarda e li risolve con apprezzabile finezza cromatica”. “L’originalità del soggetto ripropone il graffitismo locale in un’atmosfera diafana, velando la contemporaneità”. Molte sue opere sono esposte in collezioni pubbliche e private in Sardegna, nella penisola e all’estero.
L’opera multi materica esposta al Museo Ortiz, evoca il paesaggio atzarese, con sullo sfondo figure femminili che primeggiano tra le persone quasi invisibili ma presenti. Il legno levigato dalla natura conservato per e trasformato dall’estro dell’artista e dal frammento di memoria che porta con sé. I fili di lana, di corda, tesi sono la speranza che si possano ricucire i legami di solidarietà. E altri solchi sulla terra, rappresentano il suo auspicio per una futura e pacifica convivenza tra le genti.